La pratica del duello è di primaria importanza nella cultura estetizzante di fine secolo: il dandy, il cultore del bello, personaggio corrosivo dei miti dell’utile e della scienza nella nuova società borghese, partecipa delle questioni d’onore che la condizione di gentiluomo gli impongono e duella nella società aristocratica e alto-borghese.
Siamo lontani dal significato politico e patriottico delle sfide consegnate alla letteratura risorgimentale, avvolte da un alone eroico, mitico e sacrale, com’era per quelle narrate nel romanzo storico d’inizio Ottocento, per esempio l’Ettore Fieramosca e La disfida di Barletta (1833) di Massimo D’Azeglio e il Marco Visconti (1834) di Tommaso Grossi.
Ma siamo lontani anche dai duelli rusticani e aristocratici immaginati pochi
anni prima da Giovanni Verga, violenti e cinici, come nella novella Cavalleria rusticana e nell’omonimo
dramma (1884): i duelli del dandy
sono espressione della sua suprema vitalità, legati a passioni erotiche, gelosie
e rivalità e metafore della ricerca sfrenata del piacere e dell’inimitabilità
della vita.
Il duello erotico e infernale di Baudelaire
Un uso metaforico, ironico,
desacralizzato ed erotico della sfida duellistica aveva un precedente nei Fiori del male (del 1868 l’edizione
definitiva) di Charles Baudelaire, il libro fondante della modernità letteraria
dell’Ottocento europeo.
Nella prima sezione della
raccolta, Spleen et Idéal, un sonetto
intitolato con il solenne termine latino Duellum
(1858), fa dello scontro duellistico la metafora del lento logoramento di un
rapporto d’amore, in cui le fasi codificate del duello si riproducono a livello
personale: offesa, sfida, colpi su colpi, corpo a corpo mortale, caduta nell’Inferno della colpa.
«Due guerrieri sono corsi l’uno contro l’altro; le
loro armi hanno insanguinato e illuminato l’aria. Quei colpi. Quei ticchettii
sono gli schiamazzi d’una gioventù in preda a un amore che piange
[…]
Rotoliamoci senza rimorsi, amazzone inumana, al fine di rendere eterno
l’ardore del nostro odio!» (Charles Baudelaire, Duellum, 1858, in Fiori
del male, 1868, vv. 1-4, 13-14, trad. di Giovanni Raboni).
Andrea Sperelli duellante per “piacere”
I romanzi di D’Annunzio sono un vero e proprio catalogo di sfide a sfondo aristocratico e alto-borghese, anche fuori delle consuetudini giuridici consolidate, ma sempre a esprimere le passioni estreme e talvolta anche autodistruttive dei personaggi.
Nel Piacere (1889), il protagonista Andrea Sperelli si batte contro l’amante di una signora, Ippolita Albònico, che ha conquistato.
Fuori delle regole consolidate, al centro non è l’onore della donna ma la sua conquista, e combattere non è un marito e un uomo che ne ha provocato il disonore, ma si scontrano due amanti, il vecchio e il nuovo, per sancire il possesso della preda femminile.
D’Annunzio indugia nella descrizione della preparazione al duello, dei passaggi nello scontro e anche della lunga convalescenza di Andrea, come culmine della pulsione erotica verso e anche del suo malessere:
«Perché
mai gli tornavano ora tutte quelle memorie di Elena? – Riprese a salire,
lentamente. Sentì più grave, nel salire, la sua stanchezza; i ginocchi gli si
piegavano. Gli lampeggiò d’improvviso il pensiero della morte. “S’io rimanessi
ucciso? S’io ricevessi una cattiva ferita e n’avessi per tutta la vita un
impedimento?” La sua avidità di vivere e di godere si sollevò contro quel
pensiero lugubre. Egli disse a sé medesimo: “Bisogna vincere.” E vide tutti i
vantaggi ch’egli avrebbe avuti da quell’altra vittoria: il prestigio della sua
fortuna, la fama della sua prodezza, i baci di Donna Ippolita, nuovi amori, nuovi
godimenti, nuovi capricci» (Gabriele
D’Annunzio, Il piacere, 1889).
Il violento vitalismo e la brama di possesso del duellante nell’«Innocente»
Tre anni più tardi, il romanzo L’innocente (1892) sarà tesoro delle conoscenze sul campo della pratica duellistica accumulate da D’Annunzio giornalista, in accurate descrizioni della sala d’armi dove il protagonista, Tullio Hermil, si esercita.
Si duella due volte, con il marito e poi con l’amante della donna contesa, Teresa Raffo, ma quel che conta è il modo in cui il personaggio lo vive: un’espressione materiale del suo vitalismo. Il vero oggetto del contendere, la gelosia per la donna desiderata, scompare davanti a una affermazione di istinto combattivo e selvaggio:
«Allora, mentre mi durava nel sangue l’eccitamento della corsa, per quell’esuberanza di coraggio fisico, per quell’istinto di combattività ereditario che tanto spesso si risvegliava in me al rude contatto degli altri uomini, io sentii che non avrei potuto rinunziare ad affrontare Filippo Arborio. “Andrò a Roma, cercherò di lui, lo provocherò in qualche modo, lo costringerò a battersi, farò di tutto per ucciderlo o per renderlo invalido.”» (Gabriele D’Annunzio, L’innocente, 1892).
I duelli del dandy. Testi di Charles Baudelaire e di Gabriele D'Annunzio